Lalbero della Psicologia

Una vita di devo e se provassimo a metterli un pò da parte

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Giulia ha 38 anni, convive con Davide da sette, “una brava persona” che le ha sempre dato un senso di sicurezza e stabilità.

Lei, fin da ragazzina, ha sempre avuto un grande senso del dovere, nei confronti di tutti: genitori, insegnanti, fratelli, amici, fidanzati.

Questa modalità le ha permesso di sentirsi “apposto con la sua coscienza”, ma solamente nel tempo, la donna, ha potuto rendersi conto di quanto l’eccessivo senso del dovere abbia contribuito alla sua infelicità.

Sognava di fare il magistrato, è questo il motivo per il quale si è iscritta a legge, ma durante gli anni dell’università, ha iniziato a mettere in discussione il suo sogno, che, con molta probabilità avrebbe messo a dura prova la sua vita sociale, familiare: “I miei genitori sarebbero stati troppo in pensiero per me, gli orari di lavoro avrebbero creato tensione e distanza nel rapporto con il mio fidanzato, etc. etc.

E così, ha deciso di stare “al suo posto, come sempre”, in fondo c’era abituata e poi “di magistrati ce ne sono tanti, uno più, uno meno…”.

Finita l’università, incontra Davide che lavora in uno studio di commercialisti ben avviato e decide di lavorare insieme a lui, “così almeno i miei stanno tranquilli e Davide è meno geloso”.

Giulia e Davide, hanno due figli e per qualche tempo sono stati anche felici insieme, ma negli ultimi due anni il loro rapporto è molto in crisi e Giulia racconta che è sempre più dura andare avanti e che se lo fa è più per senso del dovere, perché ha paura che i suoi figli e Davide possano soffrire, perché non vuole dare una delusione ai suoi genitori, etc.

Da alcuni mesi la donna ha iniziato a soffrire di forti stati d’ansia e difficoltà ad addormentarsi, che la stanno mettendo ogni giorno sempre più in difficoltà.

L’unico momento in cui si sente meglio è al lavoro, tanto che ogni giorno passa più di dieci ore in ufficio, ancora una volta per puro senso del dovere.

Quando il senso del dovere diventa una zavorra

Sono molte le donne che ritengono che, per loro natura, sia normale rinunciare a se stesse perché in fondo, soprattutto in alcune famiglie, le donne sono sempre rimaste un po’ nell’ombra, dietro le quinte, come fosse un destino segnato nelle trame della cultura d’origine, dalle quali è spesso complicato venirne fuori, troppi i nodi da sciogliere, le regole non scritte alle quali trasgredire e poi come si fa con i sensi di colpa.

Come fosse connaturale nel dna della donna, sacrificarsi per il bene di qualcun altro, che chissà come mai ha sempre più diritto di lei!

Chi sceglie questa strada però, spesso va incontro ad un percorso lastricato di frustrazione, rabbia, senso di perdita di valore, etc.

Si, perché mettersi da parte, per assecondare le richieste esterne, anche senza che queste ci vengano rivolte esplicitamente, a lungo andare diventa un vero e proprio alibi.

Quasi sempre, infatti, la tendenza a mettere da parte i nostri sogni, è dovuta maggiormente alla difficoltà di metterci davanti alla nostra vita, prenderla in mano e portarla dove vogliamo, a costo di andare incontro ai giudizi di chi ci sta attorno.

A volte il bisogno di approvazione sociale è più forte del desiderio di realizzare i nostri sogni, la paura di sbagliare più grande della spinta a mettersi in gioco, ecco allora che è “più comodo” rimanere nella “Conforte zone”!

Un modello per i nostri figli

Non dimentichiamo che un genitore che sacrifica le proprie aspirazioni per il senso del dovere, è un modello per i suoi figli, ai quali, così facendo, insegnerà una modalità di vita improntata alla passività ed alla rassegnazione.

Non è difficile intuire il clima nel quale il bambino si abituerà a crescere,  caratterizzato da un forte senso di insoddisfazione e dalla tendenza alla rinuncia.

Quella dell’unità familiare, a costo della rinuncia alla propria realizzazione, è una grande illusione  che cela in sé un grande scotto da pagare per tutti.

Certo, perché così facendo i genitori, con il loro esempio, rischiano di lasciare in eredità ai propri figli il compito di soddisfare i bisogni degli altri, mettendo da parte i propri, quando invece sarebbe importante che sviluppassero un certo senso del dovere rispetto alla propria realizzazione.

Prova a dire meno “devo”

Potrebbe essere importante, per cercare di uscire dalla spirale dell’eccessivo senso del dovere, provare a trasformare i “devo essere, devo fare” che ci accompagnano da una vita in “desidero essere, desidero fare”.

Questo potrebbe aiutarci a metterci di nuovo in contatto con le nostre aspirazioni, i nostri bisogni, mettendo da parte i giudizi severi verso noi stessi, ridimensionando quello che un terapeuta transazionale chiamerebbe l’io genitore, per dare voce all’io bambino che è in ognuno di noi.

Photo: Mary Lock

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