Lalbero della Psicologia

L’UOMO E L’EFFETTO SPETTATORE

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La storia di Kitty Genovese

Catherine Susan “Kitty” Genovese era una giovane donna americana di 29 anni, che viveva a Kew Gardens, alla periferia di New York.

Nel 1964 è stata protagonista della cronaca nera, perché uccisa fuori da casa sua da un uomo.

Purtroppo oggi siamo “abituati” alle notizie di femminicidio, ma ciò che rende eccezionale questo evento è che Kitty fu colpita in strada dal suo aguzzino, davanti a decine di persone che assistevano alla scena orribile, affacciati alle loro finestre, senza che nessuno sia intervenuto o abbia chiamato i soccorsi.

L’uomo ha avuto mezz’ora di tempo per pugnalare a più riprese la povera ragazza, sotto gli sguardi increduli degli spettatori.

Perché non intervenne nessuno

In un primo tempo, la motivazione venne ricondotta alla perdita di valori sociali della civiltà contemporanea.

Una società pregna di individualismo e di indifferenza davanti al dolore degli altri.

Ma questa ipotesi, non convinse due psicologi sociali americani, Bibb Latanè e Jhon Darley.

Come si mossero i due psicologi

I due studiosi concentrarono la loro attenzione sulle possibili relazioni createsi in quella determinata situazione fra chi assistette alla scena e indicarono un modello in fasi, fra l’osservazione dell’accaduto e l’azione, indicato qui di seguito:

  • Essere consapevoli e divenire spettatori di un certo evento
  • Valutare sul fatto che la situazione richieda aiuto
  • Prendersi la responsabilità dell’eventualità di prestare aiuto
  • Decidere la modalità d’intervento
  • Implementare la decisione

I due studiosi sottolinearono quanto non sia sempre facile decidere se e come intervenire.

Ad esempio, non sempre l’urlo di una persona corrisponde ad un’aggressione, potrebbe trattarsi anche solo di un litigio a cui non è detto che segua un tragico epilogo e quindi intervenire, potrebbe risultare fuori luogo.

Tuttavia, i due psicologi, individuarono come punto cruciale della sequenza, la fase dell’assunzione di responsabilità.

Nel caso della povera Kitty, nella folla di spettatori, nessuno ritenne fosse opportuno intervenire, per quale motivo?

Latanè e Darley ritengono che la motivazione possa essere ricondotta all’effetto spettatore, che sta ad indicare la situazione in cui, le persone non prestano soccorso ad una vittima, in presenza di altre persone, ancor meno la dove è maggiore il numero di spettatori, perché ciascuno tende a pensare “sicuramente, ci penserà qualcun altro dei presenti!”.

Tutto ciò si verifica, a causa della così detta ignoranza pluralistica infragruppo, a causa della quale i soggetti di un gruppo tendono a pensare che gli altri hanno maggiori informazioni sull’evento e per questa ragione si conformano alla loro condotta, per sentirsi allineati al gruppo.

Una modalità estremamente rischiosa, poiché genera la tendenza a rimanere inermi, per sentirsi in linea con le norme del gruppo.

La conferma da un esperimento

Furono numerosi gli esperimenti condotti da Latanè e Darley per testare l’effetto spettatore, fra questi uno dei più noti fu quello condotto nel 1968 alla Columbia University.

Protagonisti alcuni studenti universitari, invitati a sedersi in una stanza e a compilare un questionario sulle condizioni di vita nelle grandi città. 

Alcuni soggetti vennero messi in un gruppo di altri studenti, mentre altri compilarono il questionario da soli in una stanza.

Dopo alcuni  minuti dall’inizio della compilazione, venne fatto entrare nell’aula  fumo non tossico, ma evidente.

Ebbene, i due psicologi poterono notare enormi differenze nei tempi di reazione, da parte dei due campioni, riguardo al fatto di prendere consapevolezza della presenza del fumo.

I ragazzi che si trovavano soli a compilare il loro questionario, nel 63% dei casi, si accorsero della presenza del fumo nel giro di pochi secondi, circa 5, mentre fra coloro che erano in gruppo, meno del 26% si allineò a questa tempistica.

I due studiosi poterono così avere conferma del fatto che, la presenza di altre persone inibisse la percezione del contesto e la presenza di eventuali pericoli in esso.

Per concludere

A seguito di tale esperimento i due studiosi ebbero la conferma del fatto che la presenza di altre persone, fosse in grado di condizionare le reazioni ed anche la percezione del contesto e dei fatti, poiché i soggetti dell’esperimento che si trovarono a compilare il questionario in solitudine, rilevarono il pericolo e reagirono al fumo quasi nell’immediato. 

I soggetti in gruppo invece vennero frenati dalla presenza delle altre persone e, al posto di reagire, in alcuni momenti, guardarono gli altri soggetti presenti per accertare eventuali loro reazioni ed agire di conseguenza.

L’assenza di una risposta da parte del resto del gruppo, della constatazione del fumo e della pericolosità della situazione, non fece altro che frenare l’azione dei soggetti sperimentali, perché come detto sopra “se nessuno si muove e fa nulla, allora il problema non c’è!”.

Bibliografia

Brown, R. “Psicologia sociale dei gruppi”, Il Mulino, 2000.

Palmonari, A. e Cavazza, N. “Ricerche e protagonisti della psicologia sociale”, Il Mulino, 2003.

Sacchi, S. e Brambilla, M. “Psicologia della moralità”, Carocci editore, 201

Photo: Jasleen Kaur

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